COME LIBERARSI DALLE CATENE DEL SENSO DI COLPA

liberi dal senso di colpa

I sensi di colpa derivano dall’aver tradito i nostri codici di comportamento interni. Buona parte di questi codici di comportamento, di norma, viene appresa e assorbita nel corso della nostra infanzia. Sentirsi in colpa può essere molto doloroso. E’ un po’ come sentirsi perseguitati da una parte di sé un po’ tirannica, una parte che si sente in dovere di intervenire per la minima presunta infrazione a una norma, e ci si sente ossessionati anche quando non si è fatto nulla che possa essere normalmente considerato riprovevole.

Come terapeuta, vedo molte persone che si sentono colpevoli per avere commesso errori o anche solo fatto pensieri sconvenienti o impulsi che, di sicuro, abbiamo avuto tutti almeno una volta nella vita. E’ essenziale capire quando il senso di colpa si basa su dati di realtà e quando è più o meno arbitrario e non-radicato nella realtà e rappresenta dunque un’inutile auto-punizione. Ovviamente, se abbiamo provocato del male a qualcuno o omesso di aiutare qualcuno in difficoltà quando sarebbe stato abbastanza facile farlo, è comprensibile provare del rimorso.

Il senso di colpa “patologico”

Molti autori sottolineano l’importanza di distinguere tra un senso di colpa razionale, o “proficuo” derivante dal l’aver commesso obiettivamente qualcosa di male, e un senso di colpa fatto principalmente di critiche rivolte al sé e, in quanto tale, punitivo e spesso ingiustificato. Tale senso di colpa ingiustificato è fonte di inutili sofferenze psichiche e disgusto di sé.

Possiamo definire il senso di colpa patologico, quando alla base non c’è alcun errore oggettivo. Sentirsi in colpa per:

  • non essere andati a trovare un genitore
  • avere più successo dei propri fratelli e sorelle
  • aver messo il proprio figlio all’asilo nido, per ricominciare a lavorare
  • aver detto di no alla richiesta di un collega.

In tutti questi casi e molti altri, non c’è un motivo oggettivo e accertato per cui è ovvio e utile provare un senso di colpa.

Non è nostro dovere occuparci della felicità degli altri

In quanto se è nostra piena responsabilità rispettare e non causare volontariamente danno o sofferenza agli altri, non lo è occuparci della loro felicità, o corrispondere a tutto quello che vogliono o vorrebbero che facessimo. A volte ci sentiamo responsabili di situazioni che oggettivamente non sono nostra responsabilità. In questi casi nel senso di colpa si cela l’idea di essere indispensabile. Si tratta di una sorta di senso di onnipotenza! Anche se vorrei che l’altro stesse bene, non è realistico pensare che il suo umore o la sua felicità dipendano completamente da me.

Nemmeno con tutta la buona volontà posso fare in modo che l’altro sia felice, se questo non vuole esserlo e non agisce in tale direzione! Tutto ciò ci da l’illusione di avere il controllo, ma si tratta di qualcosa che non è reale perché anche se è giusto io faccia del mio meglio, in realtà non tutto dipende da me. In alcuni casi particolari è l’altro che vuole farci sentire in colpa, attribuendoci responsabilità e colpe che non ci appartengono.

Se il senso di colpa dura abbastanza a lungo, questo tormento interno può portare a sviluppare vere e proprie patologie. Ad esempio abuso di sostanze, disturbi sessuali e una grande varietà di altri comportamenti di auto-sabotaggio. Dunque, a meno che i sensi di colpa non ci siano in realtà necessari per prendere coscienza delle responsabilità che abbiamo relativamente a un misfatto, o per innescare il desiderio di un cambiamento positivo, tale comportamento in realtà non serve a nessuno, meno di tutti a noi.

COME LIBERARSI DAL SENSO DI COLPA?

Valuta se hai oggettivamente commesso un errore, se c’è oggettivamente un danno o meno. A volte ci costruiamo dei sensi di colpa a partire da situazioni su cui non abbiamo la totale responsabilità. Attenzione a questo, può condizionare molto la vita!

Noi non siamo responsabili della vita degli altri.

Valutiamo oggettivamente quali sono le nostre responsabilità e quelle della controparte. A meno che non ci sia un danno oggettivo, la responsabilità non risiede mai solo da una parte. Ognuno dovrà assumersi la propria! Sentire di essere responsabili della vita di qualcun altro e di ciò che fa non è certamente realistico e non ci aiuta a rasserenarci e a dare il giusto peso alle cose.

Occorre convincersi del fatto, che non siamo onnipotenti e che non tutto dipende da noi.

Dipende da noi fare del nostro meglio, avere rispetto, e comportarci in modo corretto. Gli altri sono responsabili della loro vita, delle loro scelte e di come decidono di comportarsi. E soprattutto sono responsabili della loro felicità! Diciamo a noi stessi che abbiamo fatto il meglio che potevamo fare. Che quale che sia l’errore di giudizio che ci ha spinto a fare qualcosa di cui siamo pentiti è probabile che in quel momento quello fosse il meglio che potevamo fare. Il perdono dipende sempre da una piena e compassionevole comprensione di sé. Quindi è assolutamente necessario esplorare tutte le variabili implicate nel nostro errore per cercare di rivalutare noi stessi meno negativamente.

E’ crudele arrabbiarci con noi stessi

E’ crudele arrabbiarci con noi stessi per aver commesso un errore che non avremmo commesso se solo avessimo avuto tutte le informazioni e le conoscenze che al tempo dell’errore non avevamo. In altre parole, con il “senno di poi” molti errori si eviterebbero, questo è vero. Ma, ahimè, il senno di poi non esiste nella realtà. Non sentiamoci in colpa perché siamo sopravvissuti ad un evento drammatico mentre altri non ce l’hanno fatta.

In queste situazioni è davvero importante riflettere sul fatto che a decidere chi debba perdere la vita in una tragedia è in larga parte il caso e noi non abbiamo nessuna responsabilità nell’essere dei superstiti. Permettiamo a noi stessi di focalizzarci su sentimenti di dolore per la perdita e di gratitudine perché siamo vivi.

Domandiamoci se i nostri standard di comportamento sono adeguati o sono troppo elevati.

Potremmo scoprire che la nostra famiglia di origine ci ha incoraggiati ad adottare questi standard. Spesso si tratta di standard poco realistici e poco rispettosi di quello che siamo e dei limiti umani che, come tutti, anche noi abbiamo. La ricerca ossessiva della perfezione è una condizione che ci predispone ad avere una bassa considerazione e stima di noi stessi. Spesso è fonte di depressione. Se l’accettazione di noi stessi, così come siamo, che ci si augura sia incondizionata, è quasi assente ogni volta che riteniamo di commettere un errore o qualcosa va storto allora è il caso di chiedere aiuto.

Non riesci a lavorare su questi concetti? Chiedi aiuto a uno psicologo. Uno psicologo professionista può aiutare ad elaborare la situazione, e mostrare aspetti non ancora considerati in modo da consentire la completa risoluzione della difficoltà in atto.

Vedi anche: La ferita dei non amati

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Dr.ssa Cinzia Frontoni

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