FASE OPPOSITIVA: COSA FARE SE IL BAMBINO DICE SEMPRE NO?

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Mettere il giubbino, andare a dormire, mangiare: a ognuna di queste proposte, la risposta del bambino è spesso no. Cosa fare per uscire indenni dalla fase oppositiva del bambino?

Come genitori talvolta fatichiamo a sopportare alcuni atteggiamenti dei nostri figli. Ci sono momenti in cui non riusciamo proprio a comprenderli e altre volte in cui ci fanno vivere un senso di impotenza.
A seconda dell’età, i bambini hanno bisogni differenti e ce li comunicano attraverso i loro comportamenti. Quando all’ennesima richiesta nostro figlio risponde di nuovo con un “no”, accompagnato da scenate e urla, è l’inizio di una nuova fase. Sta crescendo, sta diventando una persona. 

“No, no e no”. È la tediosa fase oppositiva dei bambini in cui pare che l’unica risposta che conoscono sia composta da due sole lettere. C’è un modo di superare indenni questo periodo?  È proprio attraverso l’opposizione che il bambino sperimenta un senso di sé separato e distinto dagli altri, e la contestazione è al servizio di quell’identità che sta cercando faticosamente di costruirsi. Questa è una tappa fondamentale della crescita di un bambino. È il momento in cui il bimbo si rende conto di essere altro rispetto alla sua mamma, di essere un individuo a sé stante. Quindi questa fase, anche se faticosa, è fondamentale per la definizione della sua identità: bisogna affrontarla e gestirla, non negarla. Il bambino non va colpevolizzato. Sta impostando il suo modo di essere, ma va instradato attraverso una serie di regole. Questo processo è guidato da un meccanismo inconscio: non si tratta dunque di un agire intenzionale, è l’istinto che guida i suoi comportamenti.

Dare un nome alle emozioni

Il cervello degli esseri umani è quello che impiega più tempo per giungere alla sua completa maturazione (nei primi 3-4 anni di vita raggiunge circa due terzi delle sue dimensioni definitive). La sua crescita nelle sue diverse aree non ha un ritmo costante. L’amigdala, ad esempio, la nostra “sentinella emotiva” (ovvero la struttura cerebrale che gestisce le emozioni e in particolar modo la paura), alla nascita è già molto vicina al suo sviluppo completo. I lobi frontali, importanti per la regolazioni degli impulsi (quindi per l’autocontrollo), continuano invece a svilupparsi fino alla fine dell’adolescenza. Questa premessa spiega perché nei primi anni di vita il bambino non è in grado di gestire ciò che sente e di dare un nome alle proprie emozioni, con la conseguenza che spesso ne è sopraffatto. Percepisce, cioè, di vivere da protagonista indiscusso in una dimensione di pensiero magico ed egocentrico in cui tutto è possibile. Ed ecco che: non vuole scendere dalla macchina una volta giunti a destinazione; si rifiuta di attraversare la strada allo scattare del semaforo verde; riempie il carrello del supermercato con ogni cosa, nonostante le vostre raccomandazioni; non vuole mangiare un piatto che fino al giorno prima era il suo preferito; non vuole saperne di indossare la maglietta pulita perché reclama la sua preferita, che però è in lavatrice.

Fase oppositiva: cosa fare?

Quando ci troviamo di fronte a una decisa “fase oppositiva” da parte del bambino, la nostra reazione istintiva è quella di rispondere per le rime, imporre cioè la nostra volontà. Cosi facendo però corriamo il rischio di trovarci incastrati in una dinamica di potere, che alimenta emozioni di rabbia da entrambe le parti. Meglio invece cercare di valutare il da farsi in base al contesto. In circostanze di potenziale pericolo, seguiamo il buon senso ed interveniamo in maniera autorevole, vale a dire garantendo dei limiti, non imponendoli; successivamente, ristabilita la calma, daremo una spiegazione. Il suggerimento è quello di cercare di mantenere il più possibile la calma, di non alzare i toni di voce se non strettamente necessario e in modo molto fermo: un “no” detto bene vale più di mille strilli. Tutto questo è molto facile a dirsi e più complicato a farsi. A volte però serve veramente poco per cercare di capire e di ascoltare il nostro bambino: fermatevi, respirate e andate avanti. Non c’è una risposta magica che vada bene per tutto, si procede per tentativi. In situazioni di ordinaria quotidianità, possiamo invece porci delle domande. Ad esempio: è così importante che nostro figlio faccia proprio in quel preciso momento quello che gli stiamo chiedendo o possiamo invece permettergli (e permetterci) di posticipare o di non soddisfare la nostra richiesta?

Comprendere e verbalizzare le emozioni: cosa comporta per un genitore la fase oppositiva

Quando invece il “no” è vissuto come un affronto personale, siamo meno tolleranti e meno disposti ad ascoltare perché avvertiamo che il nostro ruolo è in pericolo. Ma se ci sentiamo presi in giro o manipolati, probabilmente è perché sono stati toccati i nostri punti deboli. In questi casi, ricordiamoci sempre che per i nostri figli siamo il punto di riferimento. Ci ammirano, ci imitano nei nostri comportamenti e necessitano della nostra approvazione. Spesso i bambini non hanno realmente bisogno che i loro desideri vengano soddisfatti, vogliono solo che vengano da noi riconosciuti e rispettati, e che le loro emozioni siano comprese e verbalizzate.

La rabbia, un sentimento da esprimere

Quando le loro richieste non possono essere esaudite, il nostro compito è capire la loro collera, accoglierla e restituire un messaggio per loro comprensibile. Se si sentiranno considerati, la loro sfuriata durerà al massimo qualche minuto. Dotiamoci dunque di pazienza e ricordiamoci che solo esprimendo liberamente la propria rabbia si può arrivare ad accettare la rinuncia e la frustrazione che ne derivano; un presupposto questo valido anche per noi adulti. Ma forse è proprio perché spesso non ascoltiamo le nostre emozioni più profonde e autentiche che facciamo più fatica a sintonizzarci con quelle altrui, comprese quelle dei bambini.

Vedi anche: rabbia e ansia nei bambini

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Dr.ssa Cinzia Frontoni

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